
Abbastanza tempo fa mi fu detto con abbastanza insistenza che assomigliavo alla protagonista di questa serie Netflix, “La regina degli scacchi”, così che – visto che volevo colmare le mie lacune in fatto di serie – appena ho avuto la possibilità ho preso a vederla. È solo 7 puntate perciò chi non ha costanza si ritrova a non doverci mettere troppo mpegno. Inoltre, gli scacchi mi sono sempre piaciuti.
La serie è tratta da un libro di Walter Tevis del 1983. Di quest’autore ho letto “L’uomo che cadde sulla terra”, un romanzo di fantascienza in cui un alieno si trova a dover aver a che fare, e ad ambientarsi, con la razza umana, questo libro era saltato alla mia attenzione e alle persone che conosco poiché da esso è stato tratto un famoso film che vede come protagonista David Bowie.
Volendo divagare, potrei dirvi che L’uomo che cadde sulla terra è uno dei libri più tristi che abbia mai letto, al punto da lasciare alla sua fine un profondo senso di disgusto e disprezzo verso il comportamento e l’ignoranza degli uomini che non sanno trattare la diversità (appunto, l’essere “alieni” potrebbe essere una metafora) se non come un fenomeno di studio e da baraccone – nonché sempre pronti a vedere gli interessi commerciali nascosti dietro ogni fenomeno.
La regina degli scacchi è una serie profonda che scorre leggera; la protagonista è un’intelligentissima e arguta orfana che fin da bambina, grazie al custode del suo orfanotrofio, si avvicina al mondo degli scacchi. Studia, e custodisce con cura, libri sugli scacchi, in particolare ciò che ama sono le aperture siciliane. Nel corso degli anni, anche se da bambina era stata riconosciuta come un talento straordinario, non trova inizialmente le condizioni giuste per continuare a giocare; sua madre adottiva poi capirà che vale la pena dare spazio alla sua passione, considerata strana dai più, anche per il fatto che a praticarla è una donna (considerate che la storia è ambientata negli anni ’50). Così in breve tempo Beth Harmon diventa una scacchista di fama mondiale.
Come tutte le persone dotate di un’intelligenza fuori dall’ordinario, Beth ha però un carattere complesso ed è incline alle dipendenze, desta scalpore per il fatto che è una donna e per la sua femminilità (le fanno notare che dà particolarmente importanza agli abiti). La protagonista è l’attrice Anya Taylor-Joy (la si può vedere in Emma, adattamento cinematografico del romanzo di Jane Austen).
Una serie consigliata sì agli amanti degli scacchi, ma non solo: a chiunque sia interessato a storie con personaggi di un certo tipo (la Beth ha carattere, ed è assolutamente brillante); l’unica cosa che forse un po’ dispiace è che non si tratti di una storia vera.
Squid Game

Squid vuol dire calamaro e perciò dovrei guardare con occhi diversi i calamari LIDL che ho nel surgelatore da anni e che spero scadano a breve per potermene liberare, che recano allegra la scritta SQUID RINGS, comprati in tempi non sospetti. Certo, potrei usarli in qualche modo in un gioco di sopravvivenza, lo squid game che dà però il titolo a questa serie Netflix (che è stata anche responsabile di molti abbonamenti da parte di gente incuriosita dal fenomeno), è un altro gioco: per dirla alla buona, consiste nel disegnare un calamaro per terra, saltare su un solo piede a tempi alterni, picchiarsi tra i partecipanti ed è un famoso gioco di bambini diffuso in Corea, un po’ come potrebbe essere la nostra campana o 1,2,3 Stella, o il CAPPOTTONE (pensate che solo nei giochi coreani ci sia violenza?). 1,2,3 Stella è un altro dei giochi presenti in questa serie, sulla cui trama di certo non ha senso dilungarsi, visto che quasi chiunque oggi in Italia sa dell’esistenza di Squid Game, così come della Ferragni e di altre mode del momento.
La fama di Squid Game è però non giustificabile, dato che di telefilm, serie e anime genere “survival game” siamo sempre stati pieni, si tratta di una tipologia di trame ben codificate, particolarmente diffuse nei paesi asiatici. Ma l’Occidente non è che sia mai stato da meno, se pensiamo al successo di interminabili saghe horror come Saw L’Enigmista. C’è da dire però che in Cina o in Giappone certe cose le coniugano in modo un po’ diverso e si fanno meno scrupoli a farci vedere teste che esplodono grazie a collari elettronici e così via.
Squid Game ha avuto solo la fortuna di finire in pasto alle masse.
Ha anche lanciato un po’ di tendenze: dopo la sua uscita c’è stata un’impennata di utilizzo e vendite di scarpette da ginnastica e tute verdoni (e ammetto di essere finita anche io a comprare una giacca da Adidas di un colore che in tempi ordinari mi avrebbe fatto assolutamente schifo, però l’idea di essere come una delle protagoniste mi attraeva e aveva appena aperto un nuovo negozio Adidas).
Questa serie, anche se vedrete centinaia di morti in ogni puntata, (al punto che dopo non ci farete neanche più caso), farà riflettere su valori importanti come: il senso della vita; i problemi di chi ha troppi soldi o troppo pochi; l’amicizia, lo spirito di gruppo. Sembra bello, no? Oltre ad essere allegra e coloratissima, e condita da musichette alienanti, le stesse più o meno che potete ritrovare da Ikea mentre vagate come dei disgraziati nel tentativo di comporre ed acquistare delle librerie Billy. Squid Game comunque non scorre rapido al punto che molti, annoiati da tanti discorsi e pathos, trovano più semplice vedere solo i video delle uccisioni e dei game su Youtube.
Insomma, a chi è destinato Squid Game? E a chi piace?
Come dicevo prima, sicuramente a un pubblico che non ha visto altri telefilm di questo tipo.
Consigliato? Snì, c’è di meglio. Se dovessi consigliare un telefilm degli ultimi anni, sarebbe piuttosto Alice in Borderland (Netflix, uscita alla fine del 2020, tratto dall’omonimo manga). Ma molto noti sono anche Gantz (serie manga e anime, anni 2000, vi sono anche alcuni film/live action), Battle Royale (film e manga, una delle prime serie di questo genere così truculento a essere importate in Italia, e che diventò un fenomeno), ma c’è molto altro di qualità disponibile in giro: cose come Liar Game (manga, serie giapponese e remake coreano), ma anche svariati registi asiatici splatter giunti fino a noi.
Insomma, chi si stupisce per Squid Game è indietro di almeno vent’anni.
Strappare lungo i bordi

Non sono mai stata una fan di Zerocalcare e dubitò lo sarò mai, ma questa serie, quando è uscita, subito è stata oggetto di attenzioni e sono stata immediatamente “vittima” del format di 15-16 minuti di ogni episodio. E visto uno, visti tutti, perché questo Strappare lungo i bordi viaggia rapido e divertente.
Però Zerocalcare continua a non convincermi. Pur attestandosi come uno dei migliori della sua generazione (o forse il migliore?), capace di fare fumetti ricchi di contenuti e ironia, lavorando praticamente da solo e da zero, continua ad insistere con la storia di essere uno sfigato quando sfigato non lo è più. Quanti alla sua età hanno all’attivo tutti quei volumi pubblicati, in cima alle classifiche dei libri più venduti e addirittura ora una serie animata su Netflix?
Zerocalcare dice tutte cose vere ed è per questo che piace tanto: è facile riconoscersi, descrive il fallimento di una generazione di ragazzi con meno speranze rispetto a quelle dei loro genitori, eppure, ma è davvero giusto seguire una serie (che ricalca comunque ciò che si vede nei suoi fumetti più famosi), che alla fine altro non è che un lungo lamento?
Strappare lungo i bordi parte benissimo e s’intristisce. Per un attimo ho vacillato, credendo di far risalire la mia considerazione nei confronti del giovane fumettista romano (la cui bravura è indubbia, semplicemente, non rientra nei miei gusti). Però poi ci ho ripensato.
Sarà anche un po’ emozionante, condito qua e là con frasi come “la vita pensavamo che non fosse altro che strappare lungo i bordi”, ma in fondo tutto ciò fa qualunquismo esattamente come lo poteva fare Moccia negli anni 2000 e i lucchetti a Ponte Milvio. E più che essere trasgressivo e fare scandalo – nonostante si parli di sporco del bagno degli uomini, di Nietzsche e uomini che non sanno alzare il crik – lo potete tranquillamente proiettare al catechismo.
Consigliato: se votate PD e siete hipster col posto in banca, sì.
Ripeto: comunque stima a Zerocalcare che almeno disegna. Un po’ meno a tutti i suoi fan che comprano Kobane Calling e La profezia dell’armadillo come regali di Natale da Feltrinelli.
Ammetto che dovrei essere più gentile ma non di lunedì, e non mentre ascolto gli Archgoat per fare rumore bianco nella casa. Ci penserò. E guai a chi mi regala Kobane Calling, per fortuna mancano 11 mesi al prossimo Natale.
La regina degli scacchi è stata una delle serie che più mi ha sorpreso su Netflix. Ho adorato la costruzione del personaggio di Beth così come i personaggi che la circondavano e ho molto apprezzato anche il modo in cui si svolgevano le partire di scacchi, che non annoiamo mai e sorprendono ogni volta.
Shiki ci fece anche lei un’ottima recensione. Se ti interessa, ecco qui il link: https://mymadreams.com/2021/08/18/la-regina-degli-scacchi/
Non ho ancora visto Squid Game, ma prima o poi recupererò. Per quanto riguarda Zerocalcare, personalmente lo apprezzo molto anche se non lo considero perfetto. Quello che parla sono cose in cui tutti si possono rispecchiare, ma non è un qualunquismo spicciolo e semplice come quello di molti, è qualcosa che va a colpire la realtà in maniera dura e cruda e forse per questo in molti ci si ritrovano di più. Non semplifica gli argomenti come fanno in tante serie e film, ma ne parla con la giusta ironia e la giusta malinconia.
Avevo visto la recensione di Shiki, ma contavo di tornare a commentare quando avrei finito di vedere anche io la serie, per non incorrere in troppi spoiler. Zerocalcare è davvero molto dotato, come pochi, però appena qualcosa diventa “mainstream” inizia a destarmi irritazione… Ma credo che se mi capiterà qualche suo volume fra le mani, potrei leggerlo volentieri, anche per la curiosità 🙂