Se tutto ciò che è profondo ama la maschera e se le cose più profonde nutrono addirittura odio per quel che è immagine e somiglianza, è perché le cose profonde sono fluide, e la fluidità è insieme scomoda e indecorosa; e tuttavia esse non vogliono essere negate come tali dalla fissità dell’immagine e della somiglianza. L’uomo ha bisogno di stabilità, di orizzonti ben definiti non solo all’esterno ma anche all’interno; ha bisogno di una chiara identità, e se non ce l’ha, soffre e si ammala.
(Aforisma 40, Al di là del bene e del male, Nietzsche)
Appunti dopo la lettura di “Triangolo di lettere”
Mentre mi accingo a fare acquisti in una delle mie librerie preferite, Libraccio, ritorno per l’ennesima volta su Lou Von Salomé.
Ho finito di leggere da non molto, in una settimana circa, un corposo libro di Adelphi che raccoglie le lettere scambiate tra Nietzsche, Paul Rèe e Lou Andreas Salomé, oltre a quelle di altri familiari e conoscenti, come l’insopportabile e antisemita sorella di Nietzsche.
Si può apprendere un così considerevole quantitativo di cose da questa corrispondenza al punto che trovo impossibile riassumerle tutte (a meno che uno non voglia scrivere un altro libro sull’argomento); una cosa che però ho notato, all’interno di questo volume, è la presenza di un numero di lettere di Salomé molto esiguo, non so ancora se si tratti di una scelta del curatore o dovuto al fatto che Salomé, in vecchiaia, abbia deciso di disfarsi fisicamente di tutto ciò che ritenesse inopportuno, in modo che non venisse ritrovato (e una scena che mostra questo fatto è presente nel film Salomé del 2018, di cui vi parlerò più avanti).
Quindi Salomé fu molto attenta nel decidere cosa i posteri avrebbero dovuto pensare di lei, in un eccesso di controllo che più che ad una naturale riservatezza fa pensare alla parte finale di un piano. Una donna che era una stratega, definita da tutti come intelligentissima ed impeccabile (nel suo personale modo d’intendere la vita): quasi che le sue azioni avessero sempre un senso, guidate dall’intelligenza e mai delle emozioni. Un “mostro” di perfezione femminile, mossa da un egoismo interiore che è quello che porta l’animale più forte a prevaricare sugli altri assicurando per sé la sopravvivenza, e allo stesso tempo priva di quegli schemi morali che obbligano a cercare una concreta realizzazione della propria vita (e quindi della propria intelligenza) incentrata su scopi più alti; questa ricerca sarebbe stata in qualche modo collegata alla morale che Nietzsche nelle sue opere tanto ha distrutto (e di cui, però, per esso non riusciva a disfarsi). Insomma, Salomé è un’intelligenza fine a se stessa, nonostante abbia avuto una cospicua produzione sia di romanzi che di scritti filosofici-psicoanalitici che di certo non permettono di tacciarla di improduttività.
Essa appariva tanto perfetta e limpida sia nel ragionamento che nel linguaggio (almeno non volendo scandagliare i punti più oscuri della sua personalità, cosa probabilmente difficile, visto che essa li nascondeva), che Nietzsche la considerò “l’incarnazione vivente della sua filosofia”. Un’idealizzazione di Salomé che egli dovette, in un secondo periodo, ritrattare, dopo alcuni mesi di convivenza con lei e l’amico Rèe ed una furiosa lite che ne derivò: Salomé si rivelava allora “una donna viziata che si preoccupava solo del suo diletto, che voleva soltanto divertirsi, e che aveva deciso che per farlo necessitava delle menti più acute del suo secolo”. Almeno, bisogna ammetterlo, in lei, c’era un certo buon gusto.
Il dolore procurato da questa lite a Nietzsche fu così grande, al punto che egli dichiarò più volte “di aver sofferto almeno 5 volte quanto un uomo normale possa sopportare prima di giungere al suicidio”, una sofferenza espressasi in un periodo buio in cui, nella solitudine della costiera ligure, il filosofo scrisse lettere preoccupanti ai suoi corrispondenti (pochissimi, aveva nascosto in quel periodo anche il suo indirizzo in modo da non essere trovato), e si allontanò totalmente dalla famiglia che non vedeva di buon occhio la relazione con la russa (la mamma Franziska continuava a ripetere: “o la sposa, o impazzisce, o si spara”, ben conoscendo il temperamento del figlio). Proprio allora iniziò a formarsi l’embrione del suo miglior lavoro, lo Zarathustra. In seguito Nietzsche si riavvicinò ai due amici persi, Rée e Salomé, ammettendo, che seppur essi lo avevano fatto soffrire, restavano comunque le persone migliori che lui avesse mai incontrato e che non era un caso se con loro aveva condiviso un’amicizia durata tanti anni; i due amici erano tra i pochi in grado di sostenere delle vere conversazioni intelligenti, e pur avendo sbagliato a fidarsi di loro, si rendeva conto che era stato lui a scegliere queste persone proprio per la loro negatività, consapevole di poter avvicinarsi davvero solo a persone solo con tali caratteristiche. In qualche senso, Nietzsche, alla fine della storia, rivendica una propria responsabilità sul dolore provato e comprende che questo non andava evitato ma aveva anzi una chiara ragione d’esistere: insieme a quello procuratogli dalla morte dell’ex amico Richard Wagner, questa sofferenza legata alla perdita fa sì che il fine ultimo della sua vita, di cui spesso parla in modo vago ed enigmatico, venga finalmente raggiunto. (e c’è il sospetto che non lo conoscesse nemmeno lui, come qualcuno che cerca qualcosa e non sa cosa cerchi fino a che non l’ha trovato). La prima parte del capolavoro della sua vita viene prodotto molto velocemente nella primavera successiva e lui stesso si chiede cosa farà in seguito – sapendo di aver compiuto finalmente il suo maggior compito – ma che non gli conviene preoccuparsene da subito, che capirà successivamente cosa fare degli anni che gli restano.
Potrei scrivere ancora molto ma soprassiederò sull’animo ingenuo di Nietzsche, che spesso prendeva delle cantonate sulle persone. Prima Wagner, esaltato nei suoi primi lavori (spesso presente nelle pagine de La Nascita della Tragedia, in cui si ridà valore alla musica, contenente l’essenza dionisiaca – qui il vero artista musicale, come Wagner, è considerato per Nietzsche un artista di prima categoria), successivamente idealizzò Salomé e anche l’amico Rée. Con Wagner l’amicizia terminò per più motivi, ma in special modo pesò la conversione al cristianesimo da parte del compositore (mentre come ben sappiamo, Nietzsche era anticristiano) questo pare che lo fece risentire per aver tanto propagandato il valore di Wagner, un valore che in realtà non possedeva. Anche l’antisemitismo di Wagner era più marcato di quello di Nietzsche (che non lo era affatto) e alla fine l’amicizia finì totalmente a causa di una rete di pettegolezzi alquanto spiacevoli. Wagner, scrivendo ai medici di Nietzsche, sostenne che la malattia mentale del filosofo era legata alle spregevoli pratiche dell’onanismo e della pederastia, ovviamente non ammesse dalla religione cristiana, e nel secondo caso, si può dire che si trattasse di pure illazioni. Almeno questo è quanto si evince del rapporto N/Wagner da questo triangolo di lettere dell’Adelphi. Che ripeto, non è un triangolo, perché c’è una folta corte di personaggi, tutti abbastanza interessanti, che prendono parte alla danza – una danza che non è finzione, ma reale. Nel leggere lettere, lettere vere, per quanto selezionate, disposte ad hoc in modo da raccontare storie, si può osservare l’ambiguità dell’animo umano, la sua doppiezza nel descrivere lo stesso evento ad un interlocutore piuttosto che a un altro, o il repentino cambio di sentimenti in base alle cose accadute. Così vediamo un Nietzsche distruggersi per la perdita dei due amici e per la lite con la famiglia e poi, pochi mesi dopo, nonostante il complotto alle sue spalle organizzato da un’amica che lo vede in un incontro a Roma con la sorella a sua insaputa (al quale comunque lui non parteciperà), di nuovo ritrovare l’affetto di quest’ultima. Ancora, dopo non molto, rendersi conto che il rapporto con la sorella ha gli stessi problemi che aveva in precedenza, e ritornare all’amicizia idealizzata con Rée e Salomé (per i quali minacciava il suicidio), che anche se l’avevano tradito, incarnavano sempre quelle figure superiori di cui aveva bisogno.
Il mio entusiasmo nei confronti di Nietzsche dura dai tempi del liceo (e ben prima dal canonico anno in cui si studiava, mi ritrovai a leggere Zarathustra affiancandolo ai filosofi greci, come Democrito o Anassimandro), ma il fatto che sia ritornata a lui con maggiore insistenza è dovuto ad un film, Salomé.

Con questo si è aperto a me un mondo che non conoscevo ancora, ovvero quello relativo a questa donna che era stata capace di affascinare le migliori menti del suo secolo. Il film appariva troppo femminile e borioso per destare attenzione delle masse, oltre che legato a un tema molto specifico, perciò è passato inosservato ai più. Ma è davvero uno dei film più interessanti che abbia trovato negli ultimi anni. Si tratta di una produzione austro-tedesca del 2016, la cui locandina, come potete osservare, riprende l’originale fotografia della “trinità” Nietzsche-Rèe-Salomé (così amavano chiamarsi) posta a inizio articolo.
La cosa bella della storia narrata in questo film è che è così ricca da non riuscire a smetterne di parlarne, anche a distanza di anni. Si intrecciano in essa filosofia, letteratura, poesia, psicanalisi e qualcosa di affine – sebbene non lo abbia trovato da alcuna parte esplicitato – al sadomasochismo, avendo questa donna una personalità tanto forte da essere riuscita a dominare diversi uomini, di cui due in contemporanea (sebbene con Nietzsche non ci sia riuscita del tutto, avendo anche lui un carattere forte. Dopo i due, è importante osservare che Salomé ebbe una relazione con il poeta Rainer Maria Rilke, un altro autore di cui avevo fatto diverse letture in gioventù (oltre alle poesie, ricordo in particolar modo La principessa bianca), e di cui per caso, durante un soggiorno a Firenze, mi sono imbattuta in un altro interessantissimo libro, “Diario fiorentino”, composto proprio da lettere tra Salomé e Rilke.

In questo libro sono raccolte le lettere del poeta ceco a Salomé durante il suo soggiorno a Firenze; volendo parafrasare quanto narrato nel film “Salomé”, ciò che attrasse la scrittrice russa verso questo poeta fu la “parte femminile che era in lui”, tanto più marcata di quella maschile, e che ben combaciava con la parte maschile di Salomé (diverse teorie psicanalitiche sostengono che abbiamo una parte maschile e una femminile, indipendentemente dal nostro sesso). Infatti, secondo la versione narrata della storia, mai Salomé si concesse sessualmente ai due filosofi della convivenza berlinese (Nietzsche e Rèe), la quale doveva essere fatta di “puro cameratismo”, improntata allo studio e a seguire corsi universitari; la prima esperienza sessuale avvenne invece con Rilke.
Ci sarebbe molto altro da dire su quanto narrato nel film Salomé, che non si limita appunto al triangolo con i due filosofi ma percorre l’intera vita di questa donna; vorrei però un attimo focalizzarmi su un altro film, questa volta italiano, Al di là del bene e del male, che racconta nel dettaglio dello stesso triangolo. La pellicola è di Liliana Cavani (Il portiere di notte, La pelle, Interno berlinese) e del 1977, con Virna Lisi nella parte della sorella di Nietzsche. Ho visto questo film l’autunno scorso e si tratta di un film molto più fantasioso rispetto al Salomé del 2018, la Cavani ha spinto particolarmente sull’aspetto sessuale, una libertà che la regista ha voluto prendere e non sono sicura di voler condividere, dato che per l’appunto, non abbiamo le prove, anche se in quella casa dove i tre vivevano potrebbe essere effettivamente accaduto di tutto. Il Salomé austro-tedesco, invece, è un film molto più fedele alla versione ufficiale dei fatti e non fa torti ai tre personaggi che la Cavani distrugge e dipinge prima come dei lussuriosi e infine dei deboli, snaturando i loro talenti. Il film, in ogni caso, è ricco di dialoghi e vale la pena di essere visto, ben recitato e comprendente quasi solo riprese d’interni, ricorda forse più un’opera di teatro. La storia parte dal loro primo incontro a Roma e si sviluppa fino al tracollo psicologico finale di Nietzsche, avvenuto a Torino, dove ci fu anche il celebre episodio del cavallo.

Ci sono anche altri film legati alla vicenda: I Giorni di Nietzsche a Torino (2002), When Nietzsche Wept (2007), Il Cavallo di Torino (2011).
Vorrei dirvi molto altro, eppure non lo faccio. Un po’ perché WordPress si rallenta quando scrivo troppo, un po’ perché questo articolo non lo pubblicherei mai. Così, tornerò sull’argomento ancora più avanti.
Vi lascio con il trailer di Salomé.
