
È da così tanto tempo che scrivo recensioni di film che onestamente ne sono un po’ stanca, ciò nonostante due parole su questo film di Sorrentino, che attendevo con trepidazione, le spendo volentieri. Sorrentino è napoletano ed è uno dei pochissimi registi italiani in grado di fare cinema di un certo livello e ad aver avuto riconoscimenti all’estero negli ultimi anni (La Grande Bellezza vinse l’Oscar nel 2013); probabilmente, se fosse messo nel contesto cinematografico italiano di quaranta o cinquant’anni fa, sarebbe solo uno dei tanti, ma oggi, resta uno dei pochi se non oserei dire l’unico.
Beh comunque non ho qui le foto sottomano, il punto è che a dicembre mi sono ritrovata in una tenuta, quella di Astapiana Villa Giusso, che si trova in una zona sopraelevata di Vico Equense (si sale usando la strada che porta ad un reticolo di località montane come Moiano, Arola o Casola, meno note alle masse poiché più distanti dal mare, ma spesso ugualmente piacevoli località di villeggiatura estiva per chi viene da Napoli).
Questa residenza storica del 1600, che apparteneva ai monaci camaldolesi (gli stessi che hanno dato il nome alla collina dei Camaldoli di Napoli e al rispettivo eremo, e che erano presenti ai Camaldoli di Visciano; tale ordine religioso proveniva dai Camaldoli di Poppi, in provincia di Arezzo) si è tenuto il festeggiamento del 150°emo anniversario della sezione CAI Napoli, di cui il conte Giusso, successivamente proprietario di questa villa, fu fondatore il 22 gennaio 1871. (il CAI Napoli nacque piuttosto rapidamente; la prima sezione, quella del CAI Torino, era nata nel 1863). La tenuta, che appartiene ai discendenti del conte, attualmente gestita dalla contessa Giovanna (non ho idea se sia a tutti gli effetti contessa, ma è più bello chiamarla così) ha visto le riprese del film di Paolo Sorrentino, in particolare alcune scene del pranzo familiare del giovane protagonista Fabietto. Sono ampiamente riconoscibili gli olivi all’esterno di questa tenuta così come le colonne dell’eremo camaldolese. Un piccolo bosco di lecci, ancora presente, circondava le cellette dei monaci, ubicate in un pianoro dal quale è possibile scorgere i due golfi, in una maniera non dissimile ad altri paesi posti in alto come Sant’Agata. Tra le piante, oltre agli ulivi, vi erano un tempo gelsi, che furono tolti a causa di un coleottero che ne distrusse la piantagione. Dopo i monaci, dicevo, venne la famiglia Giusso, che per cronaca è quella del famoso palazzo Giusso dell’Orientale di Napoli, ma anche, ovviamente, del Castello Giusso posto in Vico Equense.

Da qui, ho iniziato ad attendere l’uscita del film su Netflix, avvenuta il 15 Dicembre (era al cinema dal 24 Novembre, e dopo solo un paio di settimane su Netflix). Per l’occasione ho anche passato il mio abbonamento da base (8.99€) a standard (12.99€), in modo da poter vedere il film in HD. Infatti il piano base prevede una qualità definita “youtube”, a mio parere più che sufficiente per godersi un film su tablet o pc – assolutamente nitido, nessun problema – ma qui, vista l’importanza dell’evento, volevo simulare l’effetto cinema su di un televisore di tutto rispetto, dato che avrei anche condiviso la visione con altri spettatori.
Si potrebbe dire moltissimo su È stata la mano di dio, ma sono state già spese molte pagine e articoli sui luoghi del film e non intendo aggiungere l’ennesimo contributo inutile fotocopia di altri; è però interessante notare come il film abbia varie ambientazioni oltre alla città di Napoli. Nei sottotitoli si legge Agerola (un altro posto molto amato dai napoletani), oltre già citato Vico Equense, confermando come le scene costiere siano ricorrenti nei film di Sorrentino (ad esempio, era splendido il finale de La Grande Bellezza, in cui Jep Gambardella trovava la grande bellezza in un ricordo di una ragazza incontrata in una splendida baia).
Alla fine, ciò che mi resta di questo film sono specialmente alcune frasi come quella felliniana “La realtà è scadente”, ripetuta più volte da Fabietto, che altro non è che un alter ego del regista, in questo film strettamente autobiografico. Anche la colonna sonora del film è qualcosa di penetrante che ritorna nei sogni e al risveglio per giorni, così come rimane impressa la formazione di Fabietto e del modo in cui, alla fine, abbia trovato la spinta per esprimersi, nonostante non avesse chiarissimo quello che aveva da dire. “Ma tu ce l’hai coccos’ a ricer?” – lo incalza il suo mentore alla fine del film e lui, tutto quello che sa rispondere è: “Sì, che quando sono morti non me li hanno fatti vedere“, riferendosi ai suoi genitori morti in un incidente a Roccaraso, causato da una fuga di monossido di carbonio dal camino della loro nuova casa in montagna.
Tutti siamo soli, gli fa capire questo regista con cui ha uno dei dialoghi finali (un’altra scena importante è nella famosa Piscina Mirabilis di Bacoli, Campi Flegrei) e che lui aveva inseguito alla ricerca di un consiglio, e che sembra inizialmente non dargli molto conto. Eppure quella frase sul non aver potuto vedere più i genitori morti, sembra intenerire anche questo duro personaggio incurante di tutti se non delle sue idee, e che fa capire di lasciare una porta aperta al protagonista. Quello che diceva era vero: tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo delle difficoltà nella vita e Paolo Sorrentino non è di certo l’unico ragazzo rimasto orfano prematuramente, eppure qualcosa gli ha permesso di avere accesso al successo.
Anche qui ci sarebbe molto da disquisire. Credo però che il mondo più rapido per capire Sorrentino sia vedere questa breve intervista di qualche anno fa (alla quale sarebbe opportuno aggiungere quella pubblicata su Netflix come contenuti speciali del film, che parla proprio della realizzazione di “È stata la mano di Dio”, nonché dei luoghi che hanno visto le riprese.
In conclusione, un film molto bello e che va sicuramente visto. Forse non il migliore di Sorrentino, ma uno di quelli con le immagini più belle, e che dà una visione di Napoli autentica, quella dei napoletani. Non quella stereotipata o romanzata, ma quella in cui chi vive a Napoli si riconosce davvero. Una città dalle mille contraddizioni, in cui le diversità s’incrociano e in cui certi eventi mistici e surreali pervadono la quotidianità in un modo così forte da fondersi con essa.
Ci credi o non ci credi.
“La trama ce l’ho chiara, è che se il cinema vuole assomigliare il più possibile alla vita, va detto che la vita molto spesso è priva di trama, per questo il cinema ha qualche senso quando è deprivato di trama, e non perché non lo sappia fare, perché avendo cominciato come sceneggiatore quello che si chiede a uno sceneggiatore è di saper imbastire una trama.”